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[..] una società che non possiede il senso del bello [che ha dimenticato la bellezza] non possiede coscienza reale dei suoi bisogni più profondi, e dunque dei suoi diritti. questo accade soprattutto nelle comunità che hanno raggiunto un certo grado di benessere economico, sufficiente a non porsi domande e ad arrendersi alla logica della comodità formale. una volta riempito lo stomaco e scaldata la casa rimane poco spazio per accorgersi che coloro che ci hanno permesso di accedere a quel benessere minimo non si sono preoccupati [o non hanno inteso] confezionare decorosamente quello stesso cibo e offrirci delle città esteticamente degne… nemmeno sono stati capaci [o non hanno inteso] di mettere a punto scuole della cultura e della coscienza, ma solo dispenser dell’informazione. [da qui]
[..] il tuo discorso reggerebbe ma presuppone entità autonome, che determinano liberamente la propria "formazione" estetica, invece che subirla. Così non è, purtroppo. Prova a leggere questo articolo di Saviano, forse sentirai anche l'altro odore dell' "architettura": io-so-e-ho-le-prove.
a un primo sguardo mi pare che le tue considerazioni [e l'intenso articolo di saviano, molto interessante] si muovano su un piano diverso e in certa misura indipendente, rispetto a quanto ho sinteticamente accennato nel post. ci penserò
Ciò che volevo suggerire è che il piano estetico certamente esiste - bellezza e bruttezza sono sicuramente aspetti "tangibili" della nostra esistenza - ma che non si tratta di un piano indipendente, bensì emergente, da un irriducibile contrasto fra storie sociali ed individuali altrettanto complicate. Rimuovere questa complessità conduce ad atteggiamenti essenzialisti profondamente ingiusti, che fanno del gusto una questione ontologica, di elezione, piuttosto che di lungo tirocinio dei sensi, più o meno privilegiato. L'articolo di Saviano a me spiega bene come la bellezza non sia questione di maggiore o minore "consapevolezza" da parte delle élite, ma bensì una sorta di miracolo che può punteggiare qui e là momenti privilegiati della storia. Così, credo che anche la bruttezza delle nostre città non sia distaccabile dalle economie e tragedie del cemento, descritte da Saviano, né c'è da pensare che le élite legalizzate siano nella loro essenza molto più buone o illuminabili di quelle apertamente criminali, tanto che non suoni assurdo rivolgere loro un'implicita preghiera a donarci una maggiore bellezza, ovvero ad essere diverse da ciò che sono, ribaltando l'ordine dei parametri che le hanno portate ad essere quello che sono.