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tempo fermo
Quanto ottimo pensiero viene generato, rimane implicato, intrappolato nelle giustapposizioni incongrue raccolte in una simile Biennale? Una quantità inesauribile, un gioioso eccesso di cui Mattia sembra prelevare un piccolo campione con la propria pipetta, per depositarcelo sul vetrino del nostro microscopio, al quale rivela il solito brulichio "alive & kickin'". Blocchi di senso complesso, che lo ricavano dalla inconcepibile ramificazione delle mosse precedenti all'interno di un certo campo artistico egemonizzante. Chi sarà mai il vero padrone di questa eterea esplosione combinatoria? Per "capire" davvero questa Biennale, ovvero per parlarne con autorità, bisognerebbe certo metterla in rapporto con tante Biennali, concorrenti e precedenti, ovvero con blocchi di semiosfera altrettanto mostruosi, se presi sul serio. Ma qui sta il colpo di genio: una tale serietà può essere soltanto simulata. La fuga nell'ironia va sempre tenuta aperta e disponibile. Si tratta di una stupidità (pardon, una "follia" erasmiana) astuta, che sarebbe scorretto prendere, pedantemente ed ottusamente, "sul serio", rifiutandosi di sottomettersi a delle parti predefinite e gioiosamente offerte da un gioco al quale non si è obbligati a partecipare. Così, affinché il discorso fili - non si intrappoli in troppe complicazioni, rimanga entro il "format" predefinito per un pubblico che deve semplicemente captare la brillantezza dell'autore e, di riflesso, per la capacità dimostrata di cogliere l'offerta, la propria - bisognerà per esempio dare per implicito che "la fine della storia" di Fukuyama fosse da lui intesa in senso letterale, assoluto (cioè imbecille) e non differenziale e metaforico (cioè intelligente). Così si potrà facilmente dare ad intendere quanto Cattelan e soci siano talmente "avanti" rispetto a tutti quanti - e senza il bisogno di studiare tanto! Ma l'alternativa sarebbe una seriosità silenziosa che non genera P.I.L. e che si perde tutti gli autobus possibili ed immaginabili. Aldilà dei segmenti di coerenza che pure ovviamente vi sono nelle opere dei singoli artisti e in talune interpolazioni oneste che è possibile costruire su di esse, credo che siano proprio le incogruenze, i vuoti spaventosi, gli accostamenti assurdi e dunque ultraironici, a svolgere il lavoro migliore, quello davvero inattaccabile e che può quindi costituire il "core" di un buon "business". Davanti ad essi o mangi la minestra o salti dalla finestra. Si direbe che Mattia di questa minestra aspiri a mangiarne sempre più. D'altra parte non si danno "stupidi appetiti".
PS - da Repubblica di oggi (8/6) divertente intervista a Sparwasser, "l'operaio che umiliò l'Ovest" (riferito a quando la DDR sconfisse 1-0 la Germania Ovest a calcio nel '77). Quel gol è ancora in fondo alla rete (dice il giornalista) - risposta: Sì, a giudicare dagli inviti che ricevo. Sono appena stato a Lipsia ad una mostra sul calcio di artisti d'avanguardia. Mi è toccato dare una pedata ad un pallone pieno di letame. Bah".
lo specchio della natura