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[..] This can be readily seen if we compare this style of philosophy with anthropology, a manifestly empirical inquiry that can be done well or ill. If one chooses second-rate informants, or doesn’t first get quite fluent in their language, one is apt to do third-rate work. For this reason, some anthropologists prefer to do one or another form of autoanthropology, in which you use yourself as your informant–perhaps abetted by a few close colleagues as interlocutors. The empirical nature of the enterprise is just the same. Linguists, famously, engage in a species of this autoanthropology, and they know a good deal, at this point, about the pitfalls and risks of their particular exercises in teasing out grammatical intuitions regarding their native tongues. It is well known, for instance, that it is very difficult to avoid contaminating your intuitions about grammaticality with your own pet theoretical ideas. Some linguists, in fact, have been led to the view that theoretical linguists are, or should be, disqualified as informants, since their judgments are not naive. [Dennett]
fuchs mechanicalMirage puddnhead ... gastronomia visiva, mhm ... specialmente quel Nakamura!
...
Andrebbe fatta qualche riflessione sul surrealismo folk che brulica nella rete. Appare ovvio che questo ampio movimento non ha alcun collegamento con l' high-art (high-money!) e le sue narrative, che il surrealismo hanno ormai storicizzato da decenni, ritirandogli la patente di agibilità storica [Menna] (i recuperi "ironici" postmoderni dell'anything goes, che possono ovviamente utilizzare anche il surrealismo, non hanno evidentemente nulla a che fare con questo contesto) . L'unico collegamento con la Storia dell'Arte pare compiersi attraverso la citazione e la venerazione dei grandi del settore: dai precursori Bosch ed Arcimboldo, fino a Giger e ... Bacon.
Ma perché, tra tutte le correnti artistiche che si sono succedute, proprio questa rimane così popolare, radicata in una eterogenea massa di praticanti? Azzardo qualche considerazione abbastanza banale:
1) il surrealismo valorizza la figuratività tradizionale (senza peraltro precludersi ai piaceri dei grafismi "materici" o ipertecnologici) e dunque costituisce una zona di rifugio per la vecchia concezione del talento artistico (contrapposto alle sensibilità relazionali ed intellettuali delle sue incarnazioni successive). Appare quindi ovvio che qui approdino certe abilità che continuano a ricrearsi, più o meno professionalmente, in ambiti come la grafica, l'illustrazione e il fumetto, che in fondo vantano una certa peregrina continuità con gli inarrivabili "maestri" della tradizione occidentale.
2) il surrealismo scatena la fantasia, quel piacevole pensiero associativo poco sottoposto a vincoli [1], e si riallaccia ad una concezione romantica che, come aveva ben intuito Ortega Y Gasset [2] possiede una valenza universale, che include invece di escludere. Inoltre, benché le teorie psicoanalitiche dell'inconscio (che ne costituiscono la "spina dorsale" da un punto di vista culturale) siano nel tempo slittate dall'ambito scientifico verso quello letterario, esse continuano a rappresentare, per l'artista, delle notevoli possibilità di approfondimento teorico, sebbene per molti versi terribilmente "fuori moda".
Il rischio al quale è costantemente esposta questa eterogenea area artistica è naturalmente costituito dall'eccesso di tecnicismo, dalla voglia di stupire che si combina spesso ad una grande ingenuità di temi e sentimenti. La diversità dei talenti e degli sviluppi fornisce un colpo d'occhio complessivo non certo favorevole: l'enfasi, la stramberia virano sovente verso il kitsch, e talvolta la tecnica non redime ma amplifica la mancanza di una "poetica" coerente.
Il bello è però costituito dal fatto che la presenza di un gradiente (l'abilità tecnica) ben riconoscibile fa sì che i migliori emergano abbastanza facilmente dal brodo di coltura. Per questi sembra aprirsi una strada che si avvicina per certi versi all'arte istituzionale, ma sembra tuttavia condannata a rimanere parallela e subordinata ad essa, emulandone il funzionamento (esposizioni, riviste ecc.) ad un livello assai inferiore di legittimazione culturale. Gli rimane insomma attaccata la maledizione del "popolare".
Note
[1] Abbiamo quindi due forme di pensare: il pensare regolato e il sognare o fantasticare. Il primo lavora per la comunicazione, con elementi linguistici, ed è faticoso e spossante. Il secondo invece lavora senza sforzo - per così dire, spontaneamente - con le reminiscenze. Il primo crea nuove acquisizioni, adattamenti, imita la realtà e cerca di agire su essa. Il secondo si allontana invece dalla realtà, libera i desideri soggettivi, ed è del tutto improduttivo per quanto riguarda l'adattamento. [da C.G.Jung - La libido, simboli e trasformazioni]
[2] e ci fornisce gratuitamente gli strumenti snobistici atti a difenderci da un simile brulicare nel caso lo potessimo trovare minaccioso o annichilente nei confronti della nostra sacra individualità. Cito da La distinzione di Bourdieu: basta leggere Ortega y Gasset per rendersi conto della convalida che l'ideologia carismatica del dono [di natura] trova in quest'arte "impopolare per essenza, anzi, antipopolare" che secondo lui è l'arte moderna, ed in quel "curioso effetto sociologico" che essa produce dividendo il pubblico in due "caste" "antagoniste", "quelli che capiscono e quella che non la capiscono".
"Ciò implica" - afferma Ortega - il fatto che gli uni posseggano un organo di comprensione con ciò stesso negato agli altri; che si tratti di due diverse versioni del genere umano. La nuova arte non è affatto per tutti, come lo era l'arte romantica, ma è destinata ad una minoranza particolarmente dotata". Ed egli imputa all' "umiliazione" ed all' "oscuro senso di inferiorità" ispirato da quest' "arte di privilegio, di nobiltà di nervi, di aristocrazia istintiva" l'irritazione che essa suscita tra la massa "indegna dei sacramenti artistici": "Per un secolo e mezzo il 'popolo', la massa, ha preteso di costituire l'intera società. La musica di Stravinsky o il dramma di Pirandello hanno il potere sociologico di obbligarlo a percepirsi per quello che è, "come semplice popolo", semplice ingrediente tra altri della struttura sociale, materiale inerte del processo storico, fattore secondario del cosmo spirituale. D'altra parte, la giovane arte fa anche sì che i "migliori" si conoscano e si riconoscano nel grigiore della moltitudine ed imparino la propria missione, che è quella di essere in pochi e di dover combattere contro la moltitudine."
E' proprio quell'opporsi all'annichilimento nella folla che (il già linkato) Kuspit sviluppa nel suo pregevole Psychostrategies of Avant-Garde Art, che peraltro si riconduce ad un problemino assai "banale": [..] however outwardly masterful, the modern subject is inwardly threatened by anxiety, sometimes to the extent of being overwhelmed by it. The more the modern subject learn about the world of things, and the more it realizes how small a thing it is in the world, the more it realizes how little mastery it really has, for all its knowledge [..] There are fewer myths to support and reassure the subject in its struggle with the object. We have become too enlightened - disillusioned - to believe in them. Thus the more analytic, knowledgeable, and realistic we are about the world, the more anxiety its objects arouse (Myths are systematically sustained narratives that give coherence to the world they deal with, thus functioning as emotional safety nets, however cognitively and descriptively inadequate we know them to be. But they do all acknowledge the world's contradictoriness.)
Si confronti al proposito la singolare debolezza delle "consolazioni" offerte da Dennett (nell' "idea pericolosa di Darwin") a fronte della baldanza del suo "acido universale". Non è certo la scienza che può offrire consolazioni: "Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare?".