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non oltre, in questa direzione (acrilico su tavola 40x50cm) [zoom+]
Un'annotazione velocissima: il vivace blog di Georgia, che linko non casualmente, ha per me un'utilità che oltrepassa le sicurezze, un po' troppo facili, esibite dall'autrice. Attraverso di esso, sono venuto a conoscenza di quest'ultima polemica, resa per me più interessante dal fatto di avere in qualche modo interagito, in tempi diversi e sotto diversi nickname, con alcuni dei suoi protagonisti (WuMing1, Scarpa, Saviano, Forlani, Barbieri, Inglese ecc. - consolante come la distanza temporale proietti su tutti quanti indistintamente una velatura di simpatia e stima). In un commento lì da Georgia ho affermato che, visti da lontano, i focolai della discussione sembrano delineare delle interessanti geometrie: tento allora di precisare l'idea con questa nota, principalmente a mio uso e consumo, com'è consono al "budget" di questo blog, divenuto ormai alquanto angusto. La frattura che attraversa le varie posizioni mi pare davvero fondamentale: si tratta non tanto dell'opposizione tra fiction e realtà, che qualcuno mi pare abbia persino dato per già risolta, quanto della relativa precedenza tra "arte" e "verità", e dunque tra chi tardomodernamente pensa che la prima dovrebbe comunque (quando possibile) porsi al servizio della seconda, e chi postmodernamente pensa che il rapporto di complicità tra le due sia infinitamente ingarburgliato, in maniera quasi paralizzante. Così la posizione di Scarpa, Benedetti e Inglese (uso sbrigativamente la "pars pro toto") appare più concreta e comprensibile, quella dei WuMing, Genna, Forlani ecc. più letteraria e sofisticata. Ma non credo che ci siano i buoni disinteressati da una parte ed i cattivi opportunisti dall'altra, anzi - come quegli Incas sconfitti che assistevano dalle colline con ululati di soddisfazione alla battaglia tra Spagnoli - trovo davvero istruttiva questa scaramuccia, che si svolge in un angolo del campo letterario non troppo marginale, mi pare una buona conferma dell'efficacia esplicativa delle impostazioni di Bourdieu. Il libro di Saviano d'altra parte sta per arrivarmi, e lo leggerò quindi con moltiplicato interesse.
P.S. 1. Le dinamiche di campo individuate da Bourdieu, emergono bene nel complesso dei commenti da parte degli "addetti ai lavori": mentre un profano (il lettore "gastronomico" di Eco - interessato ai contenuti e disposto a subire in piena innocenza e inconsapevolezza le strategie stilistiche dell'autore) si chiederebbe (forse) innanzitutto: "Ma in che diavolo di paese (di mondo) viviamo? Ma sono "vere" queste cose? Le sanno queste cose i nostri politici scopatori di veline? Dove andremo a finire? Cosa possiamo fare?", i suoi colleghi sembrano invece preoccuparsi soprattutto di dove può andare a posizionarsi Saviano nelle gerarchie letterarie, e di come la sua ascesa possa influire sulle proprie posizioni (Che faccio? Mi oppongo o mi unisco al trionfo? Che figura ci faccio in tutto questo?). Interessante come la dimensione letteraria sembri talvolta in grado di fagocitare interamente l'opera, neutralizzandola totalmente. E' quanto mi sembra accadere in questo commento su NI [viene da qui]:
Sono un lettore entusiasta di Gomorra. Posso dire di averlo letto in tempi non sospetti. Quindi: Gomorra mi piace, mi piace la sua forma, mi piace ciò che dice e come lo dice. Detto questo mi sembra però che negli ultimi tempi l’effetto Dan Brown-Piperno-Colombati-Baricco-ecc. ecc. si stia pericolosamente ripetendo con l’ottimo libro di Saviano. Gomorra non è un capolavoro, perché non esistono i capolavori. Vi invito a leggere “La città distratta” di Pascale o “Cane rabbioso” di Petrella o gli straordinari romanzi di Roberto Alajmo, opere sul sud e/o sulla criminalità finalmente declinata evitando stereotipi e reticenze (anche sul piano delle scelte stilistiche). In questi libri troverete più o meno gli stessi temi di Gomorra, trattati a volte con maggiore efficacia, a volte con minore. Però di questi libri non si parla. Non è scattata la finzione del capolavoro.
Questo giudizio mi pare appiattire l'intera faccenda ad una questione di gusto, ovvero al grado di piacere (complesso, magari pervertito) che può fornire l'opera ad un lettore più o meno elettivo, più o meno dotato di strumenti di "appropriazione", e quindi, in buona sostanza, agli effetti "distintivi" di una certa reazione estetica ad un determinato oggetto artistico [vedi]. Questo sembra derivare dalla piatta giustapposizione, nel discorso, tra contenuto (ciò che dice) e forma (come lo dice). La forma non è al servizio del contenuto, non è soltanto un mezzo per raggiungere una dirompenza cognitiva (l' "ora vedo, ora capisco.." nella mente del lettore) ma interessa di per sé, interessano le abilità - in buona sostanza i trucchi - di Saviano. Il contenuto serve evidentemente soltanto a determinare il genere dell'opera e quindi i confronti stilistici da effettuare per situare l'opera stessa nel quadro letterario. Il contenuto, dice il commentatore, era già in quegli altri libri, e l'efficacia di cui si parla è evidentemente soltanto quella artistica. Politici, sociologi, antropologi etc, anzi tutti quanti noi possiamo rimanere tranquillamente sulle nostre faccende: non vi è nulla di nuovo sotto il sole. Un elogio da lastra tombale. Ma per rendere più esplicita la polarità, ci affianco un controesempio (da qui):
Nel '68 i militanti dell'estrema sinistra chiamavano "Sistema" il capitalismo. Oggi l'imprenditoria criminale è l'incarnazione più pura del sistema economico che domina il mondo. Una rete produttiva che usa mandopera a basso costo esattamente come le imprese "pulite", ma ancora più libera da vincoli di legge e di contratto. Una rete commerciale efficientissima capace di sbaragliare la concorrenza dentro ai mercati, già drogati, della globalizzazione. E con fatturati vertiginosi. L'impero economico dei nuovi clan è la quintessenza del neoliberismo, del postfordismo, della flessibilità, dell'impresa multilevel, delle logiche di marketing basate sui logo. Questa è la prima verità clamorosa che si ricava dalla straordinaria inchiesta-racconto di Roberto Saviano, Gomorra (Mondandori). [..] Già per questo Gomorra è un libro eccezionale. Ma lo è ancor più per come tutto ciò viene raccontato e testimoniato. Non è solo "stile" o abilità narrativa. E' un'intimità sofferta con il territorio a conferire a questo libro di esordio una necessità e quindi una forza di illuminazione e di verità che forse nessuna fiction potrebbe avere.
(forse quel "ma lo è ancor più per come" rende, aldilà delle differenti disposizione estetiche espresse, la differenza tra le posizioni un poco più sfumata - come dire: "siamo pur sempre dei letterati, perbacco" - ma essa rimane comunque, a mio parere, ben delineata).
btw, altri frammenti interessanti
[..] La Vespa di Nanni Moretti aveva un senso in quei primi e sconclusionati anni novanta. Quella leggerezza ondivaga e sonora, quella flânerie nostalgica su un mezzo meccanico che pareva- come aveva capito Benjamin, il malinconico cercarobe- assumere l’aura del suo autore, era un antidoto al nichilismo che avrebbe devastato il paese. Quella leggerezza oggi, nel primo decennio di secolo, sarebbe insostenibile e devastante. Ecco perchè dalle prime pagine di Gomorra esplode il grido di una Vespa: quella che imbraccia il narratore come un mitra, per essere dove si è: all’inferno, o se si vuole chiamarlo diversamente, a Gomorra. [da qui]
(suggestivo, ma davvero è cambiato così tanto dai '90 ai '00? mi pare più plausibile che sia cambiato lo sguardo di chi lo afferma - la solita autorefenzialità)
comunque ormai l'opposizione è chiara:
WuMing1: Alla fine dei giochi, non esiste separazione tra il "come" e il "cosa". Senza capire il come, non si capisce il cosa. E' politicamente importante interrogarsi su com'è costruito il libro, a cominciare dalla natura cangiante dell'io che narra. Questo è il mio invito.
Inglese: La novità di Saviano sta nell’intensità con cui ha affrontato il suo oggetto, portandoci oltre le immagini stereotipate, nelle zone grige, nei territori emotivi, ma anche negli snodi fattuali meno evidenti e conosciuti. E questo è un lavoro di scrittura, di costruzione e di stile. Ma non al servizio del possibile o del verosimile, ma del fattuale. E’ scrittura referenziale e cercare di attenuare questo aspetto ovvio mi sembra assurdo, e anche poco innocente.
quindi termino segnandomi però anche anche l'unica nota che mette in dubbio il "cosa" dell'opera, oltre che "l'integrità" del suo autore (così mi pare):
Racca: per me gomorra è un romanzo. totalmente romanzo. non credo che si debba indugiare troppo su questo. perchè altrimenti si cade vittima di giochi illusori. gomorra cerca l’inferno (e lo trova!) in questo limbo di semi-impunità. la verità che dentro vi è scritta è quella del suo autore, che è un coacervo di statistiche sangue e allucinazioni. ma preciso che comunque questa resta la verità dell’autore e non dell’io-narrante. le due cose, autore e io-narrante vanno separate, e nettamente! l’autore può aver ricevuto minacce telefoniche, ma l’io narrante no. l’autore può aver letto le cronache locali, ma l’io narrante non lo fa, e si trova nei luoghi del delitto. dico questo perchè è proprio qui che si è da sempre fondato l’inghippo: chi è saviano? un testimone o un affiliato? (la polizia ha sempre quasi indagato su di lui più che con lui… ma perchè romanzando metteva in crisi le loro informazioni… e altre ve ne aggiungeva, ovviamente). e poi mi chiedo anch’io: un romanzo può modificare la realtà? io credo di no. i morti (come don peppino diana) non si ridestano, i sopravvissuti neanche.
strano che questo "affondo" non abbia provocato reazioni.
comunque motivi di interesse sembrano fioccare dappertutto, peccato che non avere il tempo di seguirli.
p.es.
Mozzi: All'eterna domanda di quale sia la "conoscenza" o addirittura "verità" che il lettore si aspetta dall'opera di finzione, proverei a rispondere molto terra-terra: tali conoscenze o verità stanno proprio in ciò che viene "aggiunto" alla narrazione, rispetto a ciò che sarebbe una narrazione puramente referenziale. Le "operazioni" con "tecniche letterarie" sul "modo in cui gli eventi vengono collegati l'uno all'altro, messi nello stesso contesto, comunicati al lettore" (uso le parole di Wu Ming 1); l'uso "non 'obiettivo'" del linguaggio; il racconto della storia fatto "nel miglior modo possibile": se questa è la differenza tra un libro-reportage e un libro-qualcosa-di-più (o d'altro), non potranno che essere queste "addizioni" ciò che soddisfa il desiderio del lettore di avere "qualcosa di più (o d'altro)" che la semplice informazione, ossia: una qualche conoscenza, addirittura una qualche verità. Domanda alla quale non so rispondere. Ora, se sono le "operazioni" con "tecniche letterar