Risposta di Adina Riga Caro Vittorio, mi spiace ma non ho mai avuto simpatia per i fautori del pensiero debole, io sono una sostenitrice di quello “forte”, quello che si esprime attraverso l'uso di termini e frasi che cercano di avere un significato possibilmente evidente e facilmente comprensibile. Nelle vostre pagine del 15-10-002, alle quali mi hai invitato a rispondere, si esprimono pensieri attraverso una sorta di metalinguaggio per la cui interpretazione io non posseggo le chiavi, anche perché non mi ha mai sfiorato l'idea di costruirmene. Ti prego di non volermene ma a queste condizioni uno scambio di idee su temi così importanti e impegnativi è quasi impossibile. Tuttavia -ma solo per questa volta - non mi sottraggo alla promessa di una risposta che la tua simpatia mi ha carpita. Se l'arte è «cosa» in che modo essa è diversa da una pietra che è anch'essa una cosa? Ovvero, la «cosalità» della pietra sarà una «cosalità» diversa dalla «cosalità» del Giudizio universale di Michelangelo, oppure no? Ma cosa è la «cosalità»? E, siamo sicuri che essere una «cosa» significhi essere «un fatto reale»? Il concetto di realtà non ha un significato filosofico un po' più complicato? Se qualcuno fa una smorfia per imitare uno scimpanzé al fine di divertire una combriccola di bimbi, compie certamente un atto creativo: siamo sicuri che l'arte sia solo creatività? “La merda d'artista” di Manzoni (che non è Alessandro) è anch'essa un atto creativo, ma non vedo quale interesse estetico possa suscitare che non sia soverchiato dalla denuncia sociale di cui si fa veicolo. L'arte, che non ha altra finalità se non quella secondo la forma, a differenza dell'attività pratica, non ha scopi utilitari, anche se inevitabilmente li acquista quando le opere diventano oggetto di interessi sociali, politici, economici, edonistici in genere. Quando mi sono trovata di fronte alla Tempesta di Giorgione, dell'«e- motività» dell'artista non mi poteva importare di meno. Ero presa dalla mia emotività nel chiedermi perché quell'opera così piccola (naturalmente di dimensioni) l'avevo sempre immaginata grandissima, e nello stesso tempo pensavo a quale fregatura fosse studiare la storia dell'arte affidandosi alle riproduzioni fotografiche. Non pensavo a Giorgione e tanto meno a quello che gli passava per la mente quando ha immaginato di dipingere un'opera tra le più enigmatiche che siano mai state dipinte, ancor più enigmatica della Gioconda. Quasi tutti i critici hanno avuto filo da torcere nell'interpretarla. Vallo a dire a Schleiermacher quando sostiene che un ermeneuta deve essere provvisto di adeguati mezzi (naturalmente della conoscenza) «per capire l'opera meglio di quanto non la capisse l'autore stesso». Quando si dice che la realtà supera di gran lunga l'immaginazione! D'altro canto senza l'Esegesi cosa avremmo mai potuto capire, noi profani, della Sacra Scrittura; e cosa dell'Iliade e dell'Odissea senza l'ermeneutica? Allorché un'intuizione, attraverso la sintesi estetica si trasforma in espressione compiuta, e da questa, attraverso l'attività pratica, diventa pittura o scultura o architettura o poesia o romanzo..., può certamente essere considerata un «Oggetto» più o meno corposo. Persino lo spartito della Nona di Beethoven è un oggetto! Ma, «un oggetto del tutto» mi sembra un po' troppo: è un offesa all'uomo prima ancora che all'artista. Tanto meno un «oggetto» può essere considerato «l'uomo», anche se per un crudele scherzo del destino gli dovesse capitare (evento davvero difficile da immaginare) «di condividere con l'opera d'arte il concetto di cosalità». Come poi le opere d'arte possano concepire concetti e condividerli con persone resta davvero da dimostrare. Adina Riga
Gentilissima Adina Nel ringraziarla moltissimo della sua partecipazione a questo mail-dibattito, desideriamo, con molta semplicità e tanta modestia, incentivarlo; per cui iniziamo a risponderle sui punti non ancora toccati dalle precedenti e.m. 1)Pensiero debole, pensiero forte. Nel momento in cui rivendichiamo la centralità dell’astante, e quindi del soggetto nella fruizione di un’opera, e la centralità dell’opera in sé (senza pensare all’autore) nell’essere fruita, non ci sembra che questo sia un pensiero debole, che pur prendendo le mosse da Vattimo (…e lei lo sa benissimo!) relativamente all’impossibilità conoscitiva dell’arte (che metteva a suo tempo fine a tutta la querelle sull’estetica crociata), approdiamo ad esiti diversi, non legati all’ermeneutica, ma all’affinamento del “sentire” o come diciamo noi con quello che lei chiama “metalinguaggio” ( e ribadisco che lei sa benissimo che non lo è!), dell’aisthesis. 2) Metalinguaggio. Mi sa lei suggerire due vocaboli italiani che corrispondono a morphè ( che contiene in se stessa la nozione di limite) ed eidos ( che contiene in se stessa la nozione di illimite)? In italiano, per quanto io abbia cercato, non ci sono altri lemmi che differenziano la forma fisica dalla metafisica, avremmo dovuto, con esiti identici, ricorrere o all’inglese, o al tedesco o peggio al latino? Purtroppo, quando si trattano certi argomenti non si può usare un linguaggio corrente (qualche altro ce lo ha rimproverato!) proprio perché si rischierebbe di essere poco chiari. D’altra parte le nostre due “paginette” (perché tali sono!) non sono andate all’impiegato del catasto ( con tutto il rispetto. E’ più utile di queste quisquilie quando gli chiediamo la mappa di un terreno…A ciascuno le sue competenze!) ma agli addetti al lavori, che “dovrebbero” avere le chiavi per decifrarle, altrimenti cambino mestiere come ho fatto io che da impiegata del Catasto (a Palermo) sono passata ad altro! 3) Cosalità. Quanto al terzo punto riguardante la cosalità del soggetto e dell’opera, era un modo per rendere più facili le cose. Ma dato che lei ce lo ha fatto garbatamente notare, dobbiamo a suon di nomi ( e non avremmo voluto farlo!) fare sfoggio di un minimo di conoscenze. Noi prendiamo, infatti, le mosse, per poi interpretarle a modo nostro (lei lo sa!) da Benjamin e da Wittgenstein su cui innestiamo altri virgulti, per arrivare, come in genere si fa, ad una visione personale. Relativamente a Benjamin (in uno con tutta una corrente di pensiero che va dal Worringer, a Freud ed altri) concordiamo nel dire che le cose sembrano dotate di una loro sensibilità. (Es. perché io mi emoziono davanti al Monte Pellegrino e meno davanti al Monte Bianco? Perché mi emoziono davanti alla Tempesta di Giorgione, l’Urlo di Munch ( che quanto a morphè è orrendo ) ecc… e non davanti all’Orinatoio di Duchamp, che pure come lei sa, ha dato la stura a tantissimi ismi contemporanei ?) Mentre per quanto riguarda l’uomo non intendiamo dire che è una cosa, per carità, ma ci riferiamo alla capacità dell’uomo di reificarsi in uno con la cosalità dell’opera d’arte ed in uno dunque con l’aisthesis che questa esprime. In altre parole forse più semplici, nel momento in cui la sensibilità umana (Aisthesis, la sua davanti alla Tempesta del Giorgine) coglie la cosa (dinge, direbbe Heiddeger) opera d’arte in questo caso, ma Monte Pellegrino in altro, la prima, l’umana , ha il potere di reificarsi nella seconda e di collimare con essa condividendone il concetto di cosalità. Di più non riusciamo a chiarire. Tutto questo discorrere non è altro che quello che W. Benjamin chiama “il sex appeal dell’inorganico”. A questo punto, tralasciato tutto l’esame sullo spleen baudelariano, o sul concetto di flaneur, o sul concetto di abito e corpo, ci agganciamo al concetto della perdita dell’ “aura” dell’opera d’arte, non per accoglierla, ma per contestarla.( Rimandiamo alla risposta data a Gulizia) e che lei ha ben colto quando, in contraddizione (ci scusi!) con quanto lei ha affermato sia in esergo alla sua lettera sia alla fine, ha detto che non le importava quello che passava per la testa di Giorgione, dipintore della Tempesta, ma le importava invece la sua (di Adina) di emozione. Infatti l’emotività di cui noi parliamo non riguarda certo l’artista, ma l’opera che l’astante deve cogliere per saldarsi a lei. A questo punto ci soccorre Wittgenstein, come lui al “ vedere come” opponiamo il “vedere” così”, il “così” noi l’abbiamo individuato nell’aisthesis ed in ciò ci riferiamo anche (ahimè ancora qualche sfoggio di erudizione!) se in modo larvato a Michelstaedter quando parla di “persuasione” e di “farsi fiamma”. E qui mi fermo, il bazooka del mail-lettore mi spia! 4) Quanto al concetto di esegesi, riteniamo che (riprendiamo i suoi esempi) Le Sacre Scritture, come del resto l’Iliade e l’Odissea, come si sa, sono visione ed interpretazione del mondo terreno e non e che rispecchiano fedelmente lo zeitgeist (spirito del tempo) dell’epoca in cui furono scritti, se poi contengono dei brani poetici e perciò eterni questo è un altro discorso. Ma è chiaro che noi leggendoli a centinaia di anni (millenni) di distanza, quando quel mondo non ci appartiene più, abbiamo bisogno dell’esegesi, come del resto per la Divina Commedia, L’Orlando innamorato o altro. Altro sono i brani poetici come dicevamo che sono totalizzanti . In quanto noi sosteniamo, in realtà, non abbiamo mai eluso il giudizio critico e quant’altro per chi non è capace di aisthesis per l’opera d’arte e magari lo è per il conto in banca. Ciò che è da eludere è quella visione asfissiante ed accademica che la cultura italiana ci dà e che è diventata a tal punto un nostro habitus da non farcene più neanche rendere conto.. Tanto che quando noi rivendichiamo la soggettività della fruizione, la partecipazione al pathos che l’opera di per sè esprime, siamo tacciati di essere oscuri, o peggio di essere ignorati da chi dallo scranno più alto guadagna, e come!, con l’esegesi, la critica, l’ermeneutica, ecc…ecc… Mi spiace dilungarmi, carissima Adina, ma io, lei, Vittorio, mio figlio, gli odierni discenti, “prima” abbiamo saputo tutto, poniamo sulla vita di Leopardi e compagni, di Quasimodo (perfino la fuitina con la sorella di Vittorini!) e compagni, sul loro pensiero, sull’interpretazione delle loro opere ( quante notti ha passato sul Pazzaglia, Binni, Bo, Flora, Barberi-Squarotti, Manacorda e chi più ne ha più ne metta?) solo dopo abbiamo frettolosamente letto l’opera, la poesia, il brano. In queste condizioni, in che modo io avrei potuto esercitare l’aisthesis, la mia fantasia, il respirare col respiro del verso, in una parola estendere la mia sensibilità? Che in ogni caso va sempre coltivata! L’ipse dixit , purtroppo, è stato sempre il limite della cultura italiana di cui lei ad un certo punto si è liberata ed ha fruito personalmente l’opera. Quale la “sua” esegesi? Di esegesi della Tempesta ce ne sono tante, essa come ogni opera rispecchia lo spirito del tempo, e cioè il neoplatonismo del Ficino impregnato di cultura alchemica su cui si affannino pure i vari Calvesi, anche questo è utile per decrittare l’opera, ma il fruirla attraverso la collimazione del sentire, come lei ha sperimentato, è altra cosa! In altri termini, il nostro modo di accostarci all’arte si serve della tecnica michelangiolesca del “levare”, non del mettere. Per non farla lunga, poi, per quanto riguarda il concetto di arte e quello di creatività, la rimandiamo alla risposta data a Gulizia. Nel ringraziarla ancora per averci dato l’opportunità di questo mail-chiarimento, nella speranza che qualche mail-seccato non mi fulmini il computer , la saluto affettuosamente e se vuole ribattere ed abbattere avrà tutto il mio plauso in particolare e quello di Vittorio incondizionatamente. Salutissimi Lidia Pizzo e Vittorio Pannone
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