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martedì, 08 dicembre 2009

“Date le mie scarse disponibilità, non potrei permettermi di darti per un quadro più di 500 euro, però te ne darei anche 1000 se sapessi che tu campi con l'arte. Sì, in tal caso sarei disposto a fare del mecenatismo, perché saprei che ti sbatterai continuamente per affermarti e dunque comprare un tuo pezzo sarebbe anche un investimento. Invece da hobbista tu puoi decidere di smettere in qualsiasi momento e quindi devo considerare il quadro soltanto nei termini di ciò che esso esercita nei miei confronti”.

“Mi sembra un ragionamento inappuntabile”, ho ribattuto. “Ed infatti io non ti venderei mai un quadro nei termini di quei 1000 euro, perché non voglio che tale vendita istituisca un legame fra me e te [avrei dovuto dire “debito”]. Se compri un mio quadro la transazione inizia e finisce lì. Dopo, puoi farne quel che vuoi, anche bruciarlo. Io non voglio istituire nuovi obblighi nei confronti di nessuno, ed infatti mi delizio spesso di sospendere totalmente il mio “ruolo” di artista, e voglio continuare a poterlo fare, anche definitivamente, se ne avrò voglia”.
 
 
Mi sto convincendo sempre più che fare arte senza dipenderne sia una condizione pressoché necessaria (e per me probabilmente obbligata, considerate le mie idiosincrasie). Non userei mai la parola “hobby”, perché essa è satura di connotazioni totalmente estranee, anzi contrarie al fenomeno in questione, perché qui non si tratta affatto di un passatempo collaterale: è il lavoro “vero” che viene subordinato, viene messo al servizio del procacciamento della libertà artistica.

Questo ribaltamento è stato reso necessario dagli sviluppi stessi dell’arte: distruggendo le tradizioni, corteggiando il nulla, l’artista è oggi rimasto solo dinanzi alla parete della sua caverna. I suoi vincoli, i suoi condizionamenti, arretrano nell’inconscio, non sono più immediatamente condivisibili. Ne consegue un’arte delicata, difficile, fragile, contaminata di nulla, che non può immettersi su un mercato se non al prezzo di una umiliante (sia per chi l’ordisce che per chi la subisce) mistificazione. Io non so se mi fa più ribrezzo un certo tipo di collezionista, gretto e feticista, oppure chi si organizza per fregarlo [1]. E’ facile trovare in rete dei pdf molto “leccati” che analizzano amorevolmente queste fermentazioni, io non voglio occuparmene.

Non trovo nulla di male, in linea di principio, nell’arte commerciale. Se guardo per esempio questo video, ne rimango totalmente ammirato, come quando visito una chiesa barocca (sebbene sia uno stile che non prediligo): la sedimentazione di competenze, l’integrazione di apporti e scoperte è la stessa. Si tratta evidentemente dell’opera, sottilmente ambivalente perché in parte disumana - estranea ben più di quanto può esserlo un inconscio individuale - di una tradizione!

L’inganno si ordisce quando si vanno a prendere delle opere del primo tipo: individuali, intime, fragili, e, rivestendole di pompa, si vogliono far passare per opere del secondo tipo. E’ questo a scatenare, credo, il risentimento della gran massa di artisti necessariamente esclusi (di cui Internet ha rivelato l’annichilente estensione): l’evidenza solare che certi miracolati trasportati di peso in quella “storia dell’arte” che sembra ormai impossibile scrivere, non hanno in realtà spiccato alcun volo, unito alla docilità imbarazzante con la quale la massa, semiacculturata e avida d’appartenenza, riceve il messaggio della pompa, oh! “la Biennale!” oh! “Ma sai che quotazioni ha raggiunto?”..oh!

In questa accettazione, credo operi anche una sorta di autoinganno: a tutti piace pensare che la propria espressività primitiva, il proprio talento moderato, la propria applicazione limitata, potrebbero tuttavia imbroccare il “meme” che li trasporterà nella storia, e certi mediocri miracolati, ridicolmente posti sugli altari del nulla, forniscono sostanza a questa leggenda, quasi tutta relativa alla pittura e ai suoi derivati, ed in piccola parte  (anche se in modalità completamente diverse) anche alla poesia.


[1] ricordiamoci però che "è tutta una questione di proporzioni", e quindi lo sdegno sopra espresso è relativo ad un contesto di disposizioni particolare (dunque, in un certo modo, recitato: conosco anch'io le regressioni affettive relativamente innocue del collezionismo).
postato da: elio_c alle ore 09:11 | link | commenti (2)
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