A tre naviganti
C'è una domanda alla quale nessun giovane, che sia produttore di oggetti che appartengono all'ambito genericamente definito estetico, dovrebbe oggi sottrarsi: quale è la funzione prima di tali oggetti? A cosa, anzitutto, servono? Da una sincera risposta ognuno potrebbe riconoscere l'autentico o l'inautentico nel proprio operare. Con, fra gli altri, due buoni risultati. Anzitutto non metterebbe a repentaglio nel futuro la propria identità, cosa oltremodo infelice. E poi riuscirebbe a legittimare finalmente, e con forza, la parola degli Autori di fronte alla parola dei filosofi, degli estetologi, dei sociologi, dei semiologi, dei linguisti, dei critici, e di quanti altri dell'arte fanno oggetto di riflessione. Da molto tempo il quasi silenzio degli Autori ha permesso agli "altri" di egemonizzare ogni discorso sull'arte, inducendo tutti in un consolidato pregiudizio, per il quale "gli autori devono produrre le opere, al resto pensiamo noi" (a dire cosa sono, se sono "belle" e importanti, se e come si devono fare e interpretare e vendere, se fanno moda, se sono o non sono degne di passare alla storia, ecc, ecc.). La responsabilità in questo degli Autori è certamente grande, specialmente nella pittura e nella scultura, e specialmente da quando pittura e scultura sono fabbriche di oggetti per il mercato. Ma essi trovano giustificazione nel fatto che quando l'operazione funziona (quando cioè tutte le possibili funzioni degli oggetti sono evidenti e in base a questa evidenza sono giudicabili) sembra superfluo porsi domande. Ma oggi nessuna operazione funziona. Quali sono infatti le reali funzioni degli oggetti prodotti? Se quegli oggetti hanno una o più funzioni, poiché nulla è prodotto senza una funzione, esplicita o implicita, conscia o inconscia, devono però essere evidenti, e anzitutto al produttore, per rendere possibile quel giudizio, senza il quale ogni disciplina, alla deriva, muore. In tempi in cui c'era la possibilità del giudizio, la miglior risposta a quella impertinente domanda poteva essere l'opera stessa. Ma l'opera è oggi solo un sofferto veliero nella tempesta del nihilismo. Una tempesta cieca, che non riconosce l'opera da salvare. E' allora compito del capitano, dell'Autore, spietatamente giudicarla e se è il caso abbandonarla agli abissi. Sempre che sia un Autore veramente, e cioè colui che naviga in funzione della riuscita dell'opera, e non invece colui che mette in mare zattere in funzione della riuscita dell'Autore. Questo è il mio miglior saluto augurale ai tre naviganti: di sempre navigare da Autori.
Renato Calligaro, luglio 2003
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