ALLESTIMENTO > GLI ARTISTI > DIALOGHI D'ARTE AL CAFFE'
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> In collaborazione della rivista "evènts"


Non è facile essere del tutto sinceri nella presentazione di una collettiva d'arte contemporanea. Infatti, nessuno potrà negare che la caratteristica fondamentale di questo momento storico sia l' "anything goes" ovvero quella condizione priva di vere polarità che è stato il vero lascito della meticolosa distruzione di tutte le tradizioni artistiche. Dunque, per quanto ne possano dire i fanatici di questa o quell'altra "setta" artistica, non esiste oggi alcuno "stile" occidentale, europeo, italiano, friulano o carnico che dir si voglia. L'unico vincolo posto all'artista sembra essere quello di evitare "stilemi" troppo "smaccatamente connotati", per schivare le scontate accuse di anacronismo e ripetizione passiva (ma si tratta di cosa relativamente facile: basta introdurre nell'opera, spesso già caotica di per sé, una certa dose di "rumore" fuorviante.)

Da un punto di vista "ideologico" poi, la situazione sembra ancora più intricata. La pittura, ad esempio, è già stata dichiarata morta e sepolta più volte, ed in sedi molto autorevoli. Come continuare ugualmente, nonostante queste sentenze? I casi sono due, o ci si immerge nei labirintici percorsi della critica postmoderna e, all'interno di essa, si formula una risposta (una qualsiasi, perché se la confezione linguistica è sufficientemente sofisticata, l' "anything goes" sembra valere anche su tale fronte) oppure si ignora bellamente tutte queste dichiarazioni. E quale sarà, secondo voi la scelta, più probabile?

Tuttavia, una volta ammesso che non si tratterà dell'ennesima "rivoluzione" artistica, una volta soffiata via la nebbia degli scontati fumogeni e botti di inizio partita, rimane all'arte, e persino alla pittura, un livello di "funzionamento" che nessun decreto intellettualistico le potrà mai togliere: una mostra d'arte costituisce pur sempre un'occasione inesauribile di sorprese, scoperte, emozioni (tra le quali possiamo tranquillamente includere anche la noia, l'indignazione, il disprezzo ...) e persino di "significati".

Sì, perché vi è anche un lato positivo nelle continue distruzioni de-mistificanti (seguite inevitabilmente da ri-mistificazioni di livello superiore) che hanno caratterizzato la modernità: ovvero lo sviluppo di una sensibilità diffusa ed altamente autonoma. Si è infatti formato un pubblico, magari esiguo ma della cui esistenza esistono prove certe, capace di utilizzare questa grande eterogeneità, collegandola in qualche modo a propri fini poetici ed esistenziali. L'arte dà sempre meno significati preconfezionati, la denotazione si è infatti pressoché annullata, e sempre più materiali intermedi, che richiedono una attivissima "proiezione" (di sentimenti, di significati, in una parola della propria "anima") da parte dello spettatore. Un compito certo più difficile che non l'antico stupore davanti all'opera del "genio" (figura che sembra ormai ben avviata all'estinzione) ma che alcuni (il 5, il 10% dei visitatori?) sembrano comunque in grado di svolgere. Il pubblico può perciò diventare davvero un co-protagonista e questo mutare dei "termini di scambio" dovrebbe forse suggerire agli artisti degli atteggiamenti improntati ad una maggiore modestia e "normalità" (atteggiamenti che però sono forse resi impraticabili dalle tristi leggi del mercato, che sembrano davvero "esigere" la pagliacciata).

All'interno di queste prospettive, riteniamo che una mostra collettiva possa rappresentare, almeno per artisti per la maggior parte ancora "emergenti", una forma ottimale di esposizione. Banalmente, la diversità delle proposte aumenterà decisamente la probabilità che il visitatore trovi almeno qualche opera congeniale alle proprie strategie esistenziali, e quindi non se ne esca completamente a "mani vuote". D'altra parte, se gli artisti presentano tra loro un certo grado di conoscenza ed interscambio, non sarà troppo difficile focalizzare l'esposizione su qualche dimensione comune, che si presti a dare una certa coerenza al campo, comunque eterogeneo, delle opere proposte.

Nel nostro caso, abbiamo individuato ne "Il corpo e le sue trasformazioni", una dimensione sulla quale si poteva istituire uno stimolante confronto tra le diverse impostazioni. Ciascun artista è stato quindi chiamato a selezionare le proprie opere rispetto ad essa e, nel caso si sentisse incline a tale attività, a fornire qualche spunto, elaborazione o suggestione anche in forma testuale, fermo restando che i "significati autentici" dell'evento potranno costituirsi soltanto nelle menti e nei cuori degli spettatori.

EC

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