Tutti i sistemi biologici (organismi e organizzazioni sociali o ecologiche di organismi) sono suscettibili di cambiamenti adattativi che assumono molte forme (risposta, apprendimento, successione ecologica, evoluzione biologica, evoluzione culturale ecc.), secondo le dimensioni e la complessità del sistema considerato.
Qualunque sia il sistema, tuttavia, i cambiamenti adattativi dipendono da anelli di retroazione, siano essi quelli della selezione naturale o quelli del rinforzo individuale; di conseguenza il sistema deve sempre adottare un procedimento per tentativi ed errori e impiegare un meccanismo di confronto. Ma il procedimento per tentativi ed errori implica sempre degli errori, i quali rappresentano sempre, dal punto di vista biologico o psichico, un costo. La conseguenza è che i cambiamenti adattativi devono sempre essere gerarchici.
C'è bisogno dunque non solo di quel cambiamento del prim'ordine che soddisfa la richiesta ambientale (o fisiologica) immediata, ma anche di cambiamenti del second'ordine, i quali ridurranno la quantità dei tentativi necessari per portare a compimento il cambiamento di prim'ordine, ecc. Mediante la sovrapposizione e l'interconnessione di molti anelli di retroazione, noi (e come noi tutti gli altri sistemi biologici) non solo risolviamo problemi specifici, ma ci formiamo abitudini che applichiamo alla soluzione di classi di problemi.
Ci comportiamo come se un'intera classe di problemi potesse essere risolta sulla base di ipotesi e premesse meno numerose dei problemi della classe; in altre parole noi (organismi) apprendiamo ad apprendere, o con, termine più tecnico deutero-apprendiamo.
Ma le abitudini, com'è noto, sono rigide, e questa loro rigidità è una conseguenza inevitabile della posizione che occupano nella gerarchia dell'adattamento. Il risparmio in termini di tentativi ripetuti, che ci procura il formarsi di abitudini è possibile proprio perché esse sono 'programmate' in modo relativamente rigido: il risparmio sta proprio nel non riesaminare o riscoprire le premesse di un'abitudine ogni volta che di tale abitudine ci serviamo. Si può dire che queste premesse sono in parte 'inconsce', oppure, se si vuole, che si è presa l'abitudine di non esaminarle.
E' importante osservare, inoltre, che le premesse dell'abitudine sono, quasi di necessità, astratte. Ogni problema è, in qualche misura, diverso da ogni altro, e quindi la sua descrizione o la sua rappresentazione della mente conterrà proposizioni uniche. Sarebbe evidentemente errato abbassare queste proposizioni uniche al livello di premesse delle abitudini, dal momento che un'abitudine può essere applicata con successo solo a proposizioni aventi un grado di verità generale o ripetitivo, e di solito queste ultime proposizioni sono a un livello di astrazione particolarmente elevato.
[da G.Bateson, Doppio vincolo, 1969] 

[..] la nostra vita è tale che le sue componenti inconsce sono continuamente presenti in tutte le loro molteplici forme. Ne segue che nelle nostre relazioni noi continuamente ci scambiamo messaggi su questi materiali inconsci, e diviene importante anche scambiare metamessaggi per dirci l'un l'altro quale ordine e specie di inconscio (o coscienza) è inerente ai nostri messaggi. In via puramente pragmatica ciò è importante, poiché gli ordini di verità sono diversi per diversi generi di messaggi. Un messaggio, nella misura in cui è conscio e volontario, potrebbe essere falso: posso dire che il gatto è sulla stuoia, quando in realtà non c'è; posso dire: "Ti amo", quando in realtà non è vero. Ma il discorso sulle relazioni è di solito accompagnato da una massa di segnali cinetici e neurovegetativi che forniscono un commento più fidato sul messaggio verbale. Analogamente vanno le cose per l'abilità tecnica: l'abilità indica la presenza di ampie componenti inconsce nell'esecuzione degli atti. Quindi, considerando una qualunque opera d'arte, diviene pertinente chiedersi: quale ordine d'inconscio (o di coscienza) avevano per l'artista le varie componenti di questo messaggio? E questa domanda, credo, il critico sensibile di solito se la pone, benché forse non consciamente. L'arte, da questo punto di vista, diviene un esercizio di comunicazione delle specie di inconscio. O, se si preferisce, una sorta di comportamento ludico, la cui funzione, tra l'altro, è di praticare e perfezionare una comunicazione di questo tipo. [..] Si tratta proprio del tipo di messaggio che sarebbe falsificato se fosse comunicato a parole, perché l'uso delle parole (che non fossero poesia) implicherebbe trattarsi di un messaggio pienamente conscio e volontario, e questo sarebbe semplicemente non vero. [da G.Bateson in Stile, grazia e informazione nell'arte primitiva]

Accumulo qui altre formulazioni utili di varia origine:

Nella musica per pianoforte, un punto sopra le singole note o accordi indica un suono marcato, uno staccato. Spesso il pianista impara ad eseguire il suono puntato tenendo immobili le articolazioni e piegando la mano a livello del polso; questo piccolo movimento secco del polso finisce per diventare un'abitudine. Ogni volta che il o la giovane pianista vede uno di questi segni, agisce senza pensarci su. Ma il lavoro del polso non si limita a questa routine.
Nelle sonate per pianoforte di Beethoven, per esempio, il punto rappresenta degli attacchi sempre più diversificati: gli uni sembrano tamburi, gli altri triangoli, altri ancora cimbali. Tutta la varietà dei marcati di Beethoven appare nel terzo movimento della Sonata n.30 in MIi maggiore, Op. 109; nella seconda variazione di questo movimento, le note puntate possono essere eseguite con piccoli colpi del polso, ma per le note puntate della sesta variazione la vecchia abitudine acquisita dal pianista non basta: la sesta variazione fa improvvisamente scoprire al pianista che il piccolo movimento del polso della seconda variazione intralcerebbe la fluidità. Quindi il musicista deve fermarsi e pensare, sperimentare: la partitura non dà alcuna indicazione sul da farsi. Lo smarrimento momentaneo e la perdita di controllo non sono la fine della storia. Il pianista può scoprire la soluzione che io stesso ho trovato, cioè tenere il polso fermo e lasciare lavorare le articolazioni. Una volta eseguito consapevolmente questo movimento, la pratica rientra nel campo dell'abitudine; il musicista non esegue più consciamente il movimento. Ma l'effetto più importante di questa scoperta ricade sugli altri gesti del polso; la gestualità si distende e interagisce con il nuovo movimento acquisito sulle articolazioni, rendendo più coordinata tutta la mano.
Questa curva dell'apprendimento ha un nome formale: essa mostra il passaggio da una conoscenza tacita a una conoscenza esplicita. Il campo tacito è formato dalle abitudini che, una volta apprese, diventano naturali; il campo esplicito emerge quando le abitudini incontrano resistenza e sfida, e quindi c'è bisogno di una scelta deliberata. Il ritorno al tacito non è la conoscenza con cui si è partiti; se introiettate bene, le nuove abitudini hanno arricchito e modificato le vecchie.
[Richard Sennett - Rispetto p.228]

Naturalmente, non ottenevi il calcio totale con gente come Burgnich, e nemmeno, spiace dirlo, con gente come Rivera o Riva. Se volevi quell'utopia, una mutazione era necessaria. Se tutti devono fare tutto, è difficile che tutti riescano a fare tutto benissimo: ed ecco la famosa tendenza alla medietà, tipica delle mutazioni barbare. La medietà è deprimente, per noi, ma non lo è per i barbari, per una ragione ben precisa, e calcisticamente verificabile: la medietà è una struttura senza spigoli in cui può passare un maggior numero di gesti. Zambrotta non difenderà bene come Burgnich, ma quante cose fa, in più? Quante possibilità in più genera all'interno di un gioco che in quanto a regole non è nemmeno cambiato un granché? Lo vedete il fattore di moltiplicazione? La regressione di una capacità genera una moltiplicazione di possibilità. Ancora uno sforzo: perché queste possibilità diventino reali, è necessaria ancora una cosa: la velocità. Per fare accadere tutto in qualsiasi parte del campo, devi correre veloce, giocare veloce, pensare veloce. La medietà è veloce. Il genio è lento. Nella medietà il sistema trova una circolazione rapida delle idee e dei gesti: nel genio, nella profondità dell'individuo più nobile, quel ritmo è spezzato. Un cervello semplice trasmette messsaggi più velocemente, un cervello complesso li rallenta. Zambrotta fa girare la palla, Baggio la fa sparire. Magari ti incanta, certo, ma è il sistema che deve vivere, non lui. Quando i barbari pensano alla spettacolarità, pensano a un gioco veloce in cui tutti giocano simultaneamente tritando un numero di possibilità più alto possibile. Se per ottenere questo devono mettere in panchina Baggio lo fanno, e in questo è inscritto un verdetto che troveremo in tutti i villaggi saccheggiati: un sistema è vivo quando il senso è presente ovunque e in maniera dinamica: se il senso è localizzato, e immobile, il sistema muore. [A.Baricco - I barbari ]

Il segreto di quest'ordine industriale era nella precisione delle sue routine. L'Anglée è una fabbrica in cui tutto ha un posto preciso e tutti sanno cosa fare. Ma per Diderot, una routine di questo tipo non richiedeva la semplice e infinita ripetizione meccanica di una mansione. Il maestro che insiste affinché un allievo impari a memoria cinquanta versi di una poesia vuole che il testo sia immagazzinato nel cervello dell'alunno, per essere recuperato in qualsiasi momento e utilizzato per giudicare altri testi. Nel suo Paradosso dell'attore, Diderot cercò di spiegare il modo in cui l'attore o l'attrice gradualmente scandagliano le implicazioni di un ruolo teatrale ripetendo più volte i relativi versi. E si aspettava di trovare gli stessi effetti virtuosi della ripetitività anche nel lavoro industriale. Anche nella produzione della carta, infatti, è richiesta intelligenza; Diderot credeva - di nuovo per analogia con l'arte - che le routine fossero in costante evoluzione, man mano che i lavoratori imparavano come manipolare e alterare ogni stadio del processo. In termini più generali, l'esistenza di un "ritmo" del lavoro significa che ripetendo una particolare operazione scopriamo come accelerare e rallentare i passaggi, fare variazioni, giocare con i materiali e sviluppare nuove tecniche - proprio come un musicista impara a gestire il tempo eseguendo un brano. Secondo Diderot, grazie alla ripetizione e al ritmo i lavoratori possono raggiungere nel loro compito "l'unità del braccio e della mente".[R.Sennett - L'uomo flessibile pag.33]

Il senso pratico è ciò che permette di agire come si deve senza porre né rispettare un "si deve" (kantiano), una regola di condotta. Modi d'essere risultanti da una modificazione durevole del corpo operata dall'educazione, le disposizioni che il senso pratico attualizza restano inavvertite finché non passano all'atto, e anche dopo averlo fatto, per via dell'evidenza della loro necessità e del loro adattarsi immediato alla situazione. Gli schemi dell'habitus - principi di visione e di divisione largamente applicabili che, essendo il prodotto dell'incorporazione delle strutture e delle tendenze del mondo, sono almeno grossolanamente adattati a esse - permettono di adattarsi incessantemente a contesti parzialmente modificati e di costruire la situazione come un insieme dotato di senso, in un'operazione pratica di anticipazione quasi corporea delle tendenze immanenti del campo e delle condotte generate da tutti gli habitus isomorfi con i quali, come in una squadra bene allenata o in un'orchestra, essi sono in comunicazione immediata in quanto spontaneamente accordati ad essi. [Bourdieu - Meditazioni pascaliane p.146]

La superstizione dell'inferiorità delle traduzioni [..] deriva da una distratta esperienza. Non c'è buon testo che non sembri invariabile e definitivo, se lo pratichiamo un numero sufficiente di volte. Hume identificò l'idea abituale di causalità con quella di successione. Così un buon film, visto una seconda volta, sembra ancora migliore; tendiamo a prendere per necessità quel che non è altro che ripetizione. [J.L.Borges, da Discussione - Le versioni omeriche]

Questo romanzo "puro" richiede secondo ogni evidenza una lettura nuova, fino ad allora riservata alla poesia, il cui limite "ideale" è l'esercizio scolastico di decifrazione o di ricreazione fondata sulla lettura reiterata. In realtà, la scrittura non può incorporare l'attesa di una lettura tanto esigente se in quanto è il prodotto di un campo in cui si trovano realizzate le condizioni di soddisfazione di una tale esigenza: il romanzo "puro" è il prodotto di un campo in cui tende ad abolirsi la frontiera tra il critico e lo scrittore, il quale è così bravo a teorizzare sui propri romanzi soltanto per il fatto che un pensiero riflessivo e critico sul romanzo e sulla sua storia è all'opera nei suoi romanzi, richiamando senza sosta lo status di finzione. Senza moltiplicare all'infinito gli esempi di questo sdoppiamento riflessivo, si potrebbe, risalendo più indietro nel tempo, scoprirlo ancora nel centro del Manifesto dada, discorso paradossale che vuol essere insieme ciò che è, ossia un manifesto, e una riflessione critica su ciò che è, un antimanifesto, un manifesto autodistruttivo.[Bourdieu - Le regole dell'arte. pag.318]